• 13/01/2025

Agricoltura sociale, modello innovativo

 Agricoltura sociale, modello innovativo

Valentina Galesso

Agricoltura sociale, diversificazione e donne nel mondo del lavoro. Ne abbiamo parlato con Valentina Galesso, fondatrice Va Oltre L’Essenziale e responsabile Donne Impresa Coldiretti Veneto

L’agricoltura sociale può essere definita come un’agricoltura multifunzionale, che permette la diversificazione e l’innovazione non solo con l’implemento di nuove tecnologie, ma anche attraverso le sue declinazioni nel sociale. Ne abbiamo parlato con Valentina Galesso, fondatrice dell’azienda agricola Va Oltre L’Essenziale e responsabile Donne Impresa Coldiretti Veneto, portavoce di questo nuovo modello.

Lei è proprietaria di Va Oltre L’Essenziale, una scuderia sociale, un’azienda agricola innovativa, dove non solo si produce, ma si educa anche. Può raccontarci come nasce e quali sono gli elementi di innovazione?

«Ho realizzato tutto ciò dopo una carriera nel mondo della moda, periodo in cui comunque l’agricoltura ha continuato a essere il mio hobby. È una passione che mi accompagna fin da quando ero piccola, perché sono nata in campagna.

Sono poi andata a vivere in città, ma sentivo sempre dentro di me il desiderio forte di ritornare alla vita agreste. E l’ho fatto con delle competenze raccolte anche in altri settori, puntando quindi tutta la mia attività su quella diversificazione che il mondo agricolo consente.

È proprio questo che ci distingue anche come Donne Impresa Coldiretti: riusciamo a portare avanti sia un progetto prettamente agricolo, sia aspetti innovativi, grazie appunto alle opportunità di diversificazione. Nel mio caso, sono riuscita a coniugare l’agricoltura con la mia passione per gli animali e la terra.

Un esempio concreto è il mio progetto con i cavalli: recupero quelli che non hanno più la possibilità di avere un’attività agonistica o che addirittura, rischiano di finire al macello. È il caso del nostro Ronni, un cavallo cieco arrivato in azienda e che ora è la nostra miglior mascotte.

Sebbene non abbia più la vista, in realtà ha molto altro da donare e sa relazionarsi perfettamente con tante tipologie di persone e bambini. Oltre a questo progetto, ho anche creato il labirinto di lavanda più grande d’Italia, ispirato al percorso che facevano i cavalieri templari per entrare nell’ordine.

Con le piante officinali, in particolare la lavanda, con l’orto e con la nostra fattoria didattica, accogliamo e offriamo progetti dedicati ai bambini, alle persone con disabilità e agli anziani».

L’innovazione riguarda anche la coltivazione, oppure prediligete metodi più tradizionali?

«Per quanto riguarda l’orto, principalmente ho delle orticole tradizionali che impiego per la spuntineria vegeratiana. Gli aspetti innovativi sono implementati nell’estrazione degli olii essenziali del mio lavandeto. È un’estrazione particolare, a corrente di vapore, che viene eseguita quando la maturazione è in fase molto avanzata, i primi di agosto.

In genere si raccoglie a metà luglio, noi invece, grazie a questo metodo che viene effettuato ad Arezzo dove si trova un particolare estrattore, riusciamo ad avere un prodotto finale con delle performance molto alte. Otteniamo un olio essenziale e un idrolato di lavanda con delle proprietà decisamente “accese”».

A quali proprietà si riferisce? Da che punto di vista è un olio essenziale migliore?

«È un olio migliore dal punto di vista biochimico. Dalle analisi risulta, infatti, una più alta concentrazione di principio attivo, a parità di quantità di olio».

Le donne sono le protagoniste, l’elemento di innovazione, se così possiamo dire, di questo mondo agricolo 4.0. Nutrono una spiccata sensibilità per questo contesto. Può parlarci di questo aspetto?

«In generale, le donne riescono a sviluppare dei talenti, quali la comunione e l’empatia, che per noi sono fondamentali. Infatti, la maggior parte dei progetti realizzati dalle donne in agricoltura riguardano la didattica e il sociale, proprio per questa predisposizione naturale, che in generale abbiamo noi donne, di prenderci cura di qualcosa al di fuori di noi, come la terra.

E lo facciamo in maniera innovativa, innanzitutto, perché ci mettiamo passione. Ciò aiuta ad avere quelle idee che non riguardano solo il business, ma che ovviamente lo devono contemplare. Quando tu riesci a portare un prodotto – che sia fisico o un servizio – che magari ha una quantità esigua, ma un’alta qualità, vieni riconosciuta e vieni premiata.

Le donne che si stanno avvicinando all’agricoltura sono donne con storie simili alla mia: alcune hanno già alle spalle una storia familiare e quindi prendono in mano le redini di aziende già costituite, molte altre vengono da settori completamente differenti, sentono questo richiamo e si inventano l’inimmaginabile».

Il suo impegno si estende anche al recupero degli antichi mestieri. Di quali si è occupata?

«Abbiamo realizzato diversi progetti, per citarne uno, le agri-sarte di Sant’Erasmo. Nel 2019 invece, prima della drammatica esperienza della pandemia, siamo riuscite a portare in Prato della Valle mille pecore e, proprio in quell’anno, la transumanza – che è considerata anch’essa un antico mestiere – è diventata patrimonio dell’UNESCO.

Tutto quello che è antico ritorna nuovo. La scuola di pesca è il prossimo obiettivo: la speranza è che venga riconosciuta anche a livello ministeriale. Si tratta di mestieri che possono dare uno sbocco importante, non solo alle imprese femminili, ma ovviamente a tutti coloro che vogliono avvicinarsi al mondo agreste».

Vi occupate anche di educazione alimentare per i giovani. Come sono strutturati i vostri programmi di avvicinamento alla natura e all’alimentazione? Qual è, secondo lei, il cibo del futuro e quali alimenti sono sostenibili e salutari allo stesso tempo?

«Il chilometro zero è il progetto che portiamo all’interno delle scuole, in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione. Entriamo nelle primarie, nelle scuole medie e superiori e, da quest’anno, anche nelle materne, per educare alla scelta. Perché è proprio scegliendo un prodotto, anziché un altro che il consumatore rispetta il chilometro zero.

Non basta, infatti, solo acquistare le cose vicino a casa perché, se hanno viaggiato per migliaia di chilometri, non sono certo prodotti del territorio. Bisogna poi comprendere la stagionalità. Il cibo del futuro è il cibo del passato, ovvero quello legato alla nostra terra. È quello della dieta Mediterranea, che è stata riconosciuta tra le più importanti e più sane al mondo».

Per concludere, quali altri obiettivi ha in serbo, rispetto all’agricoltura sociale?

«Donne Impresa Coldiretti sta chiedendo di rivalutare alla Regione Veneto ciò che può stare sotto al cappello di agricoltura sociale, per far sì che altre attività agricole possano essere riconosciute come tali. Perché ciò avvenga, è necessario che una legge venga rivista e rivalutata.

Proprio in questi mesi, è stato avviato un tavolo di lavoro in Regione Veneto, per rendere più fluida l’applicazione dell’agricoltura sociale, con l’inserimento lavorativo e con la facoltà per il cittadino di venire nelle nostre aziende agricole a utilizzare i servizi a cui ha diritto».

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Beatrice Elerdini

Giornalista, SEO Copywriter, Autrice tv e web e consulente di comunicazione

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