Alisea, l’innovazione parte dallo scarto

Alisea è un’azienda che ha fatto dello scarto una forma di innovazione. Abbiamo intervistato la sua fondatrice Susanna Martucci
Alisea Srl Società Benefit è un’azienda che ha fatto del riuso e del riciclo di materiali una forma di identità d’impresa con l’obiettivo di generare valore umano, sociale e ambientale attraverso la progettazione, produzione e commercializzazione di oggetti di design rivolti al mondo della comunicazione aziendale.
Con Alisea ha messo in pratica i principi dell’economia circolare molto prima che diventasse un concetto mainstream. Qual è il contesto in cui è nata Alisea e come si è evoluta?
«Fino al 1996 ho lavorato per Mondadori, gestendo un’agenzia che si occupava di vendite. Mi preparo a creare Alisea nel 1994, con un organico tutto al femminile. Fin dall’epoca della prima società aperta in Mondadori, nel 1983, le donne non avevano molto spazio nel mondo del lavoro.
Io invece ho sempre puntato su di loro e così ho fatto anche nella nuova società, che doveva vendere a scopo promozionale dei gadget e degli oggetti di design made in Italy. Entrando in contatto con la produzione cinese, ci accorgemmo che il prodotto copiato dalla Cina costava un quarto di quello italiano e che la società era destinata a fallire.

Ho capito che l’oggetto promozionale più che un oggetto pubblicitario doveva diventare uno strumento di comunicazione. Per questo ho pensato che i materiali da usare per questi oggetti dovessero avere una storia e questo valore l’ho trovato nei materiali che le mie aziende clienti buttavano via.
Il mio legame con l’economia circolare è nato quindi in maniera naturale, ancora prima che sorgessero le prime normative in ambito ambientale come il Decreto Ronchi. Posso dire che l’economia circolare è entrata nell’azienda per poterla salvare e per dare un altro senso e un altro valore agli oggetti di uso comune.
Andando porta a porta dalle aziende, vedevo nei loro scarti non dei materiali da buttare ma una nuova materia prima. Io li portavo via con il vantaggio di non doverli pagare e poi li riprogettavo per farne altro, per farne degli oggetti con un valore estetico.
Ad esempio, ho realizzato vasi a partire dagli scarti della lavorazione del pomodoro oppure penne a partire dal riciclo dei fanali delle autovetture. Era una scelta di buon senso: se i miei oggetti fossero costati più di quelli cinesi, sarebbe stato pur vero che non pagavo la materia prima e che non avevo concorrenza sul mercato.
Nel corso degli anni siamo arrivati a conoscere vari processi produttivi, da quello della plastica a quello degli pneumatici fuori uso. Ci siamo resi conto che non esisteva un processo produttivo italiano in grado di produrre matite dagli scarti della grafite e lo abbiamo inventato noi, riunendo intorno al progetto anche dei designer.
Abbiamo lanciato una sfida, “Questa polvere deve scrivere!”: con Perpetua, la matita realizzata con grafite 100 per cento riciclata e con gli oggetti che ne sono derivati, abbiamo salvato dalla discarica 17 tonnellate di questa polvere atossica e inerte. Si tratta di un prodotto prelevato dagli impianti di aerazione delle fabbriche, che abbiamo studiato nel corso di trent’anni di ricerca sul campo, sviluppando un intuito molto particolare.
Osservando il lavoro altrui ne abbiamo creato uno nuovo. Come nuovo è il composto chimico che abbiamo creato, lo Zantech, fatto per l’80 per cento di grafite recuperata dai processi di produzione degli elettrodi per gli stampi. Grazie alle caratteristiche chimico-fisiche della grafite, siamo riusciti a produrre materiali nei campi più disparati: dall’occhialeria alle vernici ad acqua, dalle calzature all’edilizia sostenibile.
Il nostro lavoro è fare oggetti che prima non esistevano, scegliendo punti di vista diversi e andando controcorrente. In questo modo abbiamo scoperto di fare la differenza, per noi e per gli altri. In particolare, con Perpetua abbiamo creato un oggetto iconico, presente nei più importanti musei del mondo e distribuita da Starbucks e Città del Sole.
Con questo oggetto abbiamo trovato il modo di rendere la grafite non fragile e senza utilizzare legno, vernici e colle».

Ci sono molti modi di fare impresa attraverso l’economia circolare. Per Alisea lei parla di simbiosi industriale, di cosa si tratta?
«Significa scambiare idee e risorse con altre aziende di cui Alisea riconosce lo stesso suo DNA imprenditoriale. Nel nostro caso, ciò che ci contraddistingue da sempre è lavorare sul territorio per portare benessere alla comunità e all’ambiente in cui viviamo.
Lavorare insieme alle altre imprese al di fuori di inutili gelosie, dare e ricevere know-how è qualcosa di molto redditizio, che alla fine trasforma la simbiosi industriale in simbiosi economica. Le aziende che parlano la stessa lingua hanno la possibilità di crescere. Inoltre, solo applicando seriamente i principi della sostenibilità e avendo la volontà di cambiare veramente il modo di fare le cose, si ottengono dei risultati appaganti.
Non bisogna fare le cose solo perché conviene e per un ritorno di immagine».
La logistica e il confezionamento del vostro e-commerce sono a cura degli ospiti di La Fraglia, una cooperativa che accoglie persone diversamente abili.
«Noi diamo lavoro a ogni tipo di disabilità. Nel packaging di Perpetua è prevista una guaina idraulica colorata. A inserirla, con una bacchetta posta sul capo, sono dei giovani che non possono usare né le braccia né le gambe. I loro genitori ci riferiscono che riescono ogni giorno a sentirsi utili e a sentirsi parte di un progetto.
Questo ci ha fatto capire che abbiamo fatto la cosa giusta. Inoltre, dietro la cooperativa ci sono centinaia di volontari che durante i picchi di lavoro ci permettono di fare numeri elevatissimi.
Io ho creato un’azienda in cui ho dato valore allo scarto nelle sue diverse accezioni: alle donne, spesso escluse dal mondo del lavoro; ai materiali che vengono buttati via senza dare loro una seconda possibilità; alle persone con disabilità, per non condannarli all’emarginazione».
Come detto, dal recupero della polvere di grafite possono nascere vari prodotti. È il caso del suo brevetto g_pwdr Technology, per la tintura dei tessuti con grafite e della start up innovativa WRAD, di cui lei è co-fondatrice.
«La start up prende il nome da Matteo Ward, un giovane imprenditore che ha lasciato il suo lavoro in una multinazionale della moda, con lo spirito di voler fare qualcosa di diverso per la sua generazione e di far capire quanto possa essere dannoso per il pianeta un modello basato sulla fast fashion.
Ho l’onore di lavorare con lui, aiutandolo a mettere su la start up insieme ad altri due soci e insegnandogli quello che potevo. Oggi posso dire che ho la fortuna di imparare da loro tutto quello che è partito da noi, ma che oggi è qualcosa di molto diverso e anche più importante».
Lei ha vinto il premio GammaDonna per l’imprenditoria femminile innovativa 2023. Cosa pensa del ruolo che le imprese innovative guidate dalle donne possono avere nel rilancio sociale ed economico dell’Italia?
«Penso che adesso sia arrivato il nostro momento. Nella mia vita ho voluto dimostrare che è possibile essere un’imprenditrice e gestire una famiglia, senza essere costretta a scegliere tra le due dimensioni. Naturalmente tutto ciò è costato impegno, fatica e determinazione e ho potuto farlo grazie a un tessuto familiare comprensivo che mi ha supportato.
Deve essere una battaglia di tutte le donne ottenere questo tipo di solidarietà da parte dei propri familiari. Per secoli siamo state costrette a ragionare in un certo modo, ma adesso cominciamo ad esprimere il meglio di quello che apprendiamo.
Essere imprenditrici vuol dire essere persone libere: libere dai pregiudizi che alla donna imponevano solo certe professioni, libere dal modello familiare in cui il maggior contributo economico doveva venire per forza dal marito. Oltre a questo, penso che le donne abbiano in mano il futuro perché hanno buon senso: non vedono solo il profitto, ma hanno una visione a lungo termine.
Abbiamo bisogno di aziende che, oltre a misurare le proprie performance a breve termine, abbiano una visione a lunga gittata. Solo così si può salvare il Pianeta, con la comunità e le persone che ci vivono».