Costi energetici: tra i più elevati in Europa

Costi energetici, zavorra per le piccole imprese: ricerca, sviluppo e trasferimento tecnologico. Serve ripartire da qui
«Il vero collo di bottiglia al momento per la competitività delle micro e piccole imprese italiane non è la produzione, ma la bolletta elettrica».
A lanciare l’allarme è Confartigianato Imprese Veneto, commentando i dati emersi dal Rapporto 2025 di Banca d’Italia e da un’analisi comparativa condotta su fonti Eurostat e ARERA.
Secondo le ultime rilevazioni, l’Italia si conferma tra i Paesi UE con il più alto livello di tassazione sull’energia elettrica: il prezzo pagato dalle imprese è del 28,1% superiore alla media europea (dato comprensivo di accise e oneri, al netto dell’IVA). Ancora più preoccupante è lo spread fiscale e parafiscale, che raggiunge un +122,3% rispetto alla media UE a 27. E il divario si allarga proprio per le imprese di dimensioni più contenute.
Il paradosso? Una piccola impresa italiana che consuma meno di 20 MWh l’anno si trova a pagare un carico fiscale 8,4 volte superiore rispetto a una grande azienda che consuma oltre 150.000 MWh. Questo squilibrio pesa in modo sproporzionato sulle 6,8 milioni di utenze non energivore, che pagano oltre 8,9 miliardi di euro di oneri all’anno. In particolare, le imprese in bassa tensione – ossia la stragrande maggioranza dell’artigianato manifatturiero italiano – sono colpite da un prelievo di 60,56 euro per MWh, contro i 30,24 euro/MWh pagati dalle grandi utenze industriali in alta tensione.
Il sistema, inoltre, presenta una distorsione redistributiva inaccettabile: le imprese che non beneficiano delle agevolazioni per energivori, finanziano in larga parte proprio quelle agevolazioni.

«Parliamo di un’ingiustizia fiscale sistemica che penalizza proprio quel tessuto produttivo che dà lavoro a quasi metà degli occupati manifatturieri italiani – sottolinea Roberto Boschetto presidente di Confartigianato Imprese Veneto – In Italia le imprese fino a 50 addetti rappresentano il 47,3% degli occupati del settore, contro una media UE del 29,9%. Con 1 milione e 851mila addetti, il nostro Paese è al primo posto in Europa per occupazione manifatturiera nelle micro e piccole imprese, davanti a Germania, Polonia, Spagna e Francia».
Il report evidenzia come il settore manifatturiero ha segnato un’ulteriore riduzione (-1,4%), con un calo generalizzato, ad eccezione degli alimentari e bevande. Le esportazioni sono diminuite più che nel resto del Paese, penalizzate dalla forte esposizione verso la Germania.
Davanti all’ennesimo segnale di rallentamento dell’industria manifatturiera, fotografato chiaramente nell’ultimo rapporto di Banca d’Italia, Confartigianato Imprese Veneto lancia un appello chiaro: serve una svolta, e la parola d’ordine è ricerca e innovazione.
«Non basta più affidarci soltanto al vantaggio competitivo del settore della produzione, anche alla luce del dato relativo alla domanda interna condizionata da inflazione e incertezza — chiosa Boschetto — il modello produttivo tradizionale mostra crepe sempre più evidenti, serve ripensare al sistema nel suo complesso tenendo presente il ruolo del Veneto nel contesto globale sempre più imprevedibile».
Ricerca applicata, capacità di prototipazione e di mettere a terra le buone idee, dialogo costante tra università e imprese: è da qui che, secondo l’organizzazione, può partire un rilancio autentico della manifattura veneta, trasformando la crisi in un’opportunità di innovazione. La solidità finanziaria di un tessuto produttivo che si è dimostrato resiliente nel tempo può consentire di riposizionarsi, lavorando sulle catene del valore di prodotti e servizi. «La spesa in ricerca e sviluppo nel nostro Paese, specie quella privata, si mantiene nettamente inferiore alla media europea e il nostro sistema mostra una scarsa capacità di trasferimento tecnologico rispetto a Francia e Germania – continua Boschetto».
Ma l’analisi va oltre: il baricentro dell’economia globale si è spostato verso il settore terziario, verso i servizi avanzati, che richiedono competenze digitali sempre più evolute. «Dobbiamo portare il nostro made in Italy anche lì — è l’appello — contaminare il terziario con i valori dell’artigianato: qualità, cura dei dettagli, identità e personalizzazione. Solo così possiamo allargare il perimetro della nostra competitività recuperando il gap con i mercati internazionali e tenere il passo con un Mondo che corre. In questo è fondamentale migliorare il coordinamento anche tra le istituzioni e i diversi livelli di governo e il ruolo dei corpi intermedi in questo può essere determinante».