• 18/05/2025

D-air Lab, l’aria che protegge

 D-air Lab, l’aria che protegge

Oggi, la sicurezza sul lavoro si integra con tecnologie avanzate. D-Air Lab, fondata da Lino Dainese, sviluppa dispositivi innovativi come WorkAir, un airbag pensato per proteggere i lavoratori in altezza. Questo progetto si estende a vari contesti, dalle moto allo spazio. Vediamo insieme al Ceo Vittorio Cafaggi

Affrontare l’argomento capitale umano nel contesto lavorativo implica coinvolgere anche la tematica sicurezza. Ma cosa significa oggi fare sicurezza sul lavoro? Quali sono le novità tecnologiche e come possiamo proteggere i dipendenti?

Per comprendere il livello di ricerca e attenzione che coinvolgono questo settore abbiamo intervistato Vittorio Cafaggi, Ceo di D-Air Lab, start up innovativa fondata da Lino Dainese nel 2016. D-Air lab progetta, sviluppa e produce dispositivi dedicati alla protezione e alla sicurezza delle persone in diversi contesti. Dal lavoro allo sport, dalla vita quotidiana alla terza età. Un “vestito intelligente” inizialmente utilizzato nel mondo motociclistico, nelle competizioni di MotoGP e di sci, che oggi amplia il suo utilizzo grazie alla ricerca e alla tenacia di un gruppo di persone.

VENETO ECONOMY - D-air Lab, l'aria che protegge
Vittorio Cafaggi

Dalla moto alla sicurezza sul lavoro, WorkAir è il primo airbag per la protezione dei lavoratori in altezza a essere industrializzato e certificato come dispositivo di protezione individuale, può raccontarci la storia di questa visionaria e concreta idea?

«D-Air Lab nasce dalla volontà di Lino Dainese di impiegare la tecnologia come quella della protezione del corpo umano nel settore della moto anche in altri settori. Da allora sono nati diversi progetti, dal mondo dello sport, non solo motociclistico, ai lavori attuali e futuri, fino alla protezione degli astronauti: in questo periodo storico siamo concentrati sull’andare sulla Luna, ma le spedizioni sulla Luna sono progettate per lavorare, per fare ricerca; quindi, abbiamo bisogno di dispositivi di protezione individuali adatti allo spazio, come accade in qualsiasi altro luogo dove si svolgono lavori potenzialmente pericolosi.

La volontà chiara di Lino Dainese quando fondò D-Air Lab era studiare la tecnologia dell’airbag indossabile per trasportarla dal mondo dello sport alla vita di tutti i giorni: noi vendiamo aria che protegge».

Come riesce WorkAir a differenziare una caduta pericolosa, e quindi ad attivarsi, da altre situazioni che non mettono in pericolo la persona?

«Non sempre le norme dedicate alla sicurezza sul lavoro vengono rispettate e sappiamo che in determinati contesti alcuni dispositivi non sono utilizzabili, lavori a un solo metro da terra o dove non si riescono ad agganciare le imbragature: noi andiamo a coprire le necessità e i rischi attualmente non coperti. Il progetto nasce con Enel per

coprire specifici rischi come le cadute da palo con pendolamento e impatto contro ostacoli sottostanti, ma successivamente abbiamo pensato anche ai tecnici, agli idraulici, che lavorano su una scala a un metro e mezzo di altezza. Un dispositivo elettronico elabora un algoritmo di attivazione che prende in considerazione dati di accelerazione e velocità di rotazione e sulla base di una o più combinazioni di queste grandezze stabilisce se quello che sta accadendo è un incidente o meno.

Il difficile è saper riconoscere quando queste grandezze sono una caduta e di conseguenza attivarsi quando richiesto, un processo che ha richiesto un lungo periodo di test. Questi algoritmi sono predittivi: devono attivarsi prima dell’impatto per assicurarsi che il dispositivo sia gonfiato alla pressione operativa. Un algoritmo predittivo è molto più complicato di un algoritmo reattivo (come nelle auto ndr)».

Nel “vestito intelligente” la protezione c’è, ma non viene percepita dall’utente che la indossa. Può spiegare ai non addetti ai lavori cosa significa questa frase?

«Non sentirsi la protezione addosso è essenziale e ha diversi tipi di conseguenza. Un dispositivo di protezione individuale se è troppo pesante, produce troppo calore, è poco intuitivo, viene usato poco e male. Ergonomia e gestione del calore sono aspetti fondamentali per rendere un dispositivo accettabile o non accettabile. L’accettabilità è uno degli aspetti del vestito intelligente, gli altri sono la capacità di realizzare algoritmi, l’ergonomia, il design, l’hardware, la capacità di produzione. Altro aspetto fondamentale è la velocità: la protezione si gonfia in 40 millisecondi. È indispensabile

saper controllare l’aria. In questi anni abbiamo imparato a creare “il” vestito intelligente anche se continuiamo a imparare».

D-Air Lab è anche moda: come è nata la collaborazione con Dior?

«Durante una visita Maria Grazia Chiuri ha deciso di rappresentare le nostre tecnologie nella successiva sfilata AW 22/23 Collection. È nata una collaborazione molto interessante perché ci ha permesso di rendere la protezione di moda. La protezione in sé è da sempre noiosa, ricorda la preoccupazione della mamma o eventi a cui preferiamo non pensare. Il fatto che Dior prenda queste tecnologie e le porti sulle passerelle della moda ha sdoganato la protezione dall’aura di noia. Di contro, la moda sempre alla ricerca di nuove idee ha trovato in D-Air Lab forti stimoli».

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Quali progetti futuri state sviluppando nel settore sicurezza?

«Adesso e in futuro noi ci proponiamo come leader della protezione e sicurezza, più in dettaglio come esploratori della Dainese, alla ricerca di nuove modalità, tecnologie, da applicare in modo ampio. Oggi sono due i grandi mondi che stiamo esplorando: il lavoro, dove troviamo anche lo spazio – abbiamo lavorato con la NASA e MTI – e gli anziani. Una tuta da astronauta è un dispositivo di protezione individuale per lavoratori. Se vogliamo guardare avanti, l’applicazione dell’aria nello spazio e anziani che cadono sono i

due pilatri del futuro. Quando proteggo il corpo, la testa del lavoratore, ho l’esperienza per proteggere anche altre persone».

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Anna Fogarolo

Copywriter, scrittrice, esperta comunicazione digitale

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