Rovigo: più pensionati che lavoratori
I sindacati lanciano un grido d’allarme: in Veneto si sta registrando un preoccupante numero di pensionati superiore ai lavoratori. E se a Belluno la soglia lavoratori/pensionati è sottilissima, a Rovigo è già avvenuto il sorpasso.
A Rovigo più pensioni che stipendi
I più maligni lo chiamano “sorpasso”, un fenomeno che vede il numero di persone anziane in età da pensione più alto di quante la pagano. Un fenomeno che in Italia sta preoccupando da tempo i sindacati, ma non solo dato che l’instabilità provocata riguarda l’economia di tutto il paese. Famiglie meno numerose, calo demografico, meno lavoratori. Da anni viene paventato un possibile scenario che vede uno squilibrio tra chi lavora e chi è in pensione, ma per la prima volta il Veneto registra una tendenza così netta in una sua provincia: Rovigo. E dalla facoltà di Statistica sociale all’Università di Venezia arriva un ulteriore monito: entro dieci anni quasi tutte le provincie venete registreranno situazioni simili a quelle già in atto a Rovigo. Tanto da arrivare a due pensionati per ogni lavoratore. Una situazione oggettivamente non gestibile.
I dati del report di Inps e Istat non ammettono dubbi, a Rovigo ci sono 97 lavoratori ogni cento pensionati, se allarghiamo lo sguardo alla penisola registriamo dati più negativi solo a Reggio Calabria e Catanzaro, a quota 67 lavoratori ogni cento pensionati.
Tornando in Veneto, Belluno ha 108 lavoratori ogni cento pensionati, Venezia 126, Vicenza e Treviso 130, Padova 133. Il motivo è molto semplice, il calo demografico. In Veneto nel 1966 sono nati 79 mila bambini, mentre nel 2022 abbiamo registrato 31 mila nascite. Non facciamo più figli, siamo passati da due figli per donna a 1,29 solo in Veneto. A questo aggiungiamo la drammatica fuga di cervelli, nel 2035 si stima che l’Italia perderà il 4,2% della popolazione e dovrà sostenere 3,6 milioni di over-65 in più rispetto ai livelli attuali.
L’allarme dei sindacati
La Cgil della Provincia di Rovigo lancia un allarme attraverso la voce del suo segretario Pieralberto Colombo “Noi, come sindacati, abbiamo lanciato l’allarme da anni ed ora è accaduto proprio quello che avevamo previsto. Il Polesine, non solo si riconferma essere una terra di anziani con i giovani che scappano in cerca di lavoro in altre province, ma il numero dei pensionati ha superato con percentuali importanti i lavoratori attivi. Questo si traduce in un rischio per i servizi essenziali che presto potrebbero venire meno, diventerà infatti presto impossibile garantire il welfare, dagli ospedali alle scuole pubbliche”.
Secondo i sindacati la soluzione nel breve periodo è la gestione responsabile dei flussi migratori, una realtà capace di aiutare il nostro welfare, e per questo chiedono una regolamentazione attenta e provvedimenti di integrazione.
La fuga dei cervelli
Facciamo pochi figli e quei pochi che mettiamo al mondo lasciano il paese per mete più attrattive e possibilità di carriera migliori. Nonostante la fuga di cervelli stia rallentando, i numeri sono comunque elevati, tra il 2008 e il 2020 abbiamo perso 91mila diplomati e 76mila laureati.
Legge per il rientro dei cervelli
La legge per il rientro dei cervelli, che ricordiamo prevede per i lavoratori che hanno vissuto almeno due anni all’estero e che si impegnano a risiedere in Italia per almeno due anni di pagare le tasse soltanto sul 30 per cento del proprio reddito, 10 per cento per chi decide di trasferire vivere al Sud, è assolutamente utile ma, dati alla mano, non sufficiente; inoltre, è troppo presto per registrare i risultati ottenuti dalle agevolazioni recentemente confermate per i lavoratori altamente qualificati, docenti o ricercatori che scelgono o hanno scelto di trasferire la residenza in Italia dall’estero.
Le soluzioni ad oggi proposte coinvolgono, come abbiamo già accennato, i migranti e i servizi per la prima infanzia, asili nido, per aiutare le donne a conciliare famiglia e lavoro: buoni propositi che si stanno rivelando in tragico ritardo rispetto al numero di lavoratori/pensionati effettivi.
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